Il complesso edilizio denominato "Medioevo" appartenne fin dall'antichità ai Conti Lucini Passalacqua (il loro stemma in cotto è ancora visibile su un pilastrino a destra del tetto del cancello d’ingresso), fu poi dei Sigg. Camozzi Momo, delle sorelle Nessi che lo vendettero al Comune di Olgiate. Nel cabreo (descrizione dei beni) redatto nel 1885 per G.B. Passalacqua, si dice che in questa cote c’erano: scuderie, rimessa per le carrozze, bigatera, stalle, cascina, torchio, tinaia e l’abitazione del fattore.
Nei primi anni del ‘900 si comincia a pensare di ristrutturare questo complesso pur lasciando la medesima destinazione agricola. Non essendoci un’autonomia architettonica si pensò di prendere a modello il ‘400 lombardo che giocava sul gusto coloristico rosso mattone (cotto delle finestre) e bianco dei muri con graffiti. Ancora si pensò di unire qualcosa di autentico all’imitazione dell’antico: così “tre colonne di vivo” di un antico edificio olgiatese vengono collocate vicino al muro di fronte all’ingresso del cortile.
Entrando nel complesso da via Lucini c’è a sinistra una torre che rinvia al castello visconteo di Pandino in provincia di Milano. Originariamente la torre era costruita con sassi a vista; si è mantenuta la base poliedrica ed è stata completamente rifatta nella parte superiore. Nel suo progetto eclettico e composito l’ideatore della ristrutturazione, non si accontenta di ispirarsi a modelli lombardi, ma spazia anche in Toscana. Infatti la base ottagonale del pozzo al centro del cortile e la scala che dal cortile porta al loggiato d’accesso all’oratorio, rinviano alla corte del Bargello di Firenze.
Varcato l’artistico cancello in ferro battuto, abbiamo a destra un piccolo portico con tre affreschi che rappresentano “il trionfo dell’amore”. I primi due affreschi, un’allegra brigata di dame e cavalieri che va a festeggiare gli sposi, sono reinterpretati dal “trionfo della morte” del cimitero di Pisa. Là, cavalli e cavalieri hanno volti terrorizzati perché troveranno tre bare aperte; qui, sono festosi perché trovano due sposi. In capo alle lesene che dividono i tre affreschi ci sono gli stemmi dei coniugi Camilla Camozzi e Federico Momo: Momo un leone rampante, Camozzi un camoscio.
Avanzando nel cortile si ha di fronte un grande portone a cassettoni con due picchiotti; a destra un cancelletto in ferro battuto dà accesso alla “scala nobile” che porta al piano primo. Giunti al loggiato, da dove si accede ai locali di rappresentanza, dato uno sguardo dal balcone al cortile, si noti il fregio del soffitto costituito da una serie di tavolette in legno che ritraggono “alla luiniana” personaggi della corte ducale di Milano. Significativa la tavoletta col ritratto contrassegnato BER LOVINO perché riproduce fedelmente l’autoritratto di Bernardino Luini presente un tempo in Casa Lambertenghi a Como. Tornati nel cortile, proseguendo a destra, si accede ad un portico a due archi attorno al quale si sviluppa l’azienda agricola. Sotto il portico si resta stupiti da numerosi cartigli con frasi latine, consuetudine del ‘400 con valore didattico per i lettori di ieri e di oggi. “Sempre el dovere” si legge sotto i due archi, frase tipica che compare in ville suburbane milanesi, come alla Bicocca. Altre frasi sottolineano la destinazione agricola degli ambienti a cui accedere dal portico. Infatti nel primo cartiglio a destra sopra la finestrella si legge: “Abbiate bilance giuste, pesi giusti, efa giusto” (l’efa serviva per misurare grano e orzo). Questa frase tratta dal cap. 19 del Levitico ci fa capire che qui c’era una piattaforma per pesare i prodotti dell’azienda.
Varcato il portone, entrati nella grande sala delle mostre, possiamo anche ammirare l’antica bilancia datata 1886. Un’altra scritta dice: “ Non è forte e valoroso l’uomo che evita il lavoro”. In fondo al portico a sinistra, dove c’erano le stalle, s’invita l’uomo ad imparare il lavoro dal bue e dal cavallo. Dalla porta sottostante questo invito si accede al centro congressi sito al piano primo. “nell’atrio c’è un grande ritratto di Federico Momo (famoso ciclista vogherese attivo dal 1894 ai primo del 1900), al quale l’auditorium è dedicato. Tornati in cortile, salendo la scala esterna a destra, copia di quella presente a Firenze nel palazzo Bargello, si accede al loggiato che porta all’oratorio. Subito restiamo colpiti dal graffito sulla parete di sinistra: è un panorama della Certosa di Pavia vista dal chiostro grande. Il progettista aveva ben presente questo monumento tanto che le quattro foglie al piede di ogni colonna del loggiato e alcuni capitelli riproducono fedelmente quelli della Certosa. Se poi dal loggiato guardiamo il cortile, a destra, i graffiti che ornano la fascia di muro a confine con il parco di Villa Camilla, di cui il Medioevo fu sempre dipendenza ed alla quale si accede per una galleria con ingresso dal cancello posto a sinistra dopo gli affreschi, vediamo tre raggiere con la scritta GRA-CAR (gratiarum cartusia) appellativo della Certosa di Pavia.
Lungo il percorso che ci porta alla cappellina, sul parapetto del loggiato si vedono riprodotte più volte le lettere CMF che dovrebbero saper interpretare, perché sono le iniziali dei committenti di questo complesso: Camilla e Federico Momo. Nella lunetta sopra il portone d’ingresso dell’oratorio abbiamo un volto di Cristo coronato di spine che richiama un’opera del Luini. Nel ‘400 c’era una devozione per la “santa corona” tanto che a Milano c’è ancora un’istituzione benefica che porta questo nome.
Entrati nell’oratorio si nota un’artistica cancellata che riproduce fedelmente, in dimensioni ridotte, quella di una cappella della chiesa di San Petronio a Bologna: cambiano gli stemmi posti ai lati dell’albero della vita: qui, quello di sinistra è di mons. Valfrè De Bonzo vescovo di Como dal 1896 al 1906. La cappellina, benedetta nel 1924, presenta una serie di affreschi di Luigi Morgari: San Cristoforo, un pellicano, San Giorgio patrono dei cavalieri, l’incoronazione di Maria. Per questo soggetto, il Morgari attivo a Milano, nel Duomo di Vercelli e nella parrocchia di Olgiate, prende a modello l’affresco presente nel catino absidale di San Sempliciano a Milano, opera del Borgognone. La mensa dell’altare poggia su un’antica cassapanca: la scena del palliotto rappresenta la consegna delle chiavi fatta da Gesù a San Pietro e ricorda l’opera del Perugino presente nella Cappella Sistina.
Dalle date che si leggono all’interno del complesso si ipotizza che i lavori si siano svolti in due momenti. La prima parte: cortile, edificio, interni e loggiato furono terminati nel 1911. Infatti in uno dei locali di rappresentanza vediamo scritto su un camino questa data, confermata dal cartiglio a destra dove si legge “Albert Dresler mediolanensis pictor 1911”.
La seconda parte: affreschi all’ingresso del cortile e oratorio1923-1924. I graffiti sono opera dei fratelli Giuseppe e Francesco Bricola; i ferri battuti sono stati forgiati nell’officina di Giuseppe ed Edoardo Introzzi che si trovava vicino all’attuale piazza Umberto. I primi interventi di restauro, dopo l’acquisizione del complesso da parte del Comune, sono stati finanziati dal Ministero dei beni culturali sotto la direzione dell’architetto Alberto Artioli della Sovrintendenza per i beni culturali ed artistici di Milano; tutti i lotti successivi, nell’ultimo decennio, dalla Amministrazione comunale di Olgiate.
Attualmente il complesso ha una funzione polivalente e può ospitare iniziative pubbliche e private, disponendo di sale e spazi di diverse dimensioni per mostre, convegni, spettacoli e manifestazioni varie.