Il nome "Olgiate Comasco"
Il toponimo Olgiate deriverebbe da "olgia" o da "olla" ( nel Latino di Plauto "aula") cioè pentola, vaso, anfora per la cottura e la conservazione dei cibi, ma anche delle monete.
La desinenza "ate" presente in tanti toponimi soprattutto in Lombardia vede tante interpretazioni: per alcuni servirebbe a trasformare in nome di luogo i nomi comuni di cose.
C'è invece chi sostiene che Olgiate potrebbe derivare da "aulcia" , piccola particella di terreno coltivato, arativo o prato. Sempre la desinenza "ate" per alcuni sarebbe di origine etrusca, per altri celtica o ligure. Si confronti "Margate" nell'Inghilterra sud-orientale.
Sino all'anno 1862, cioè sino ad un anno dopo la proclamazione del Regno d'Italia (1861) il nostro Comune si chiamava semplicemente "Olgiate". L'aggiunta dell'aggettivo " Comasco" data appunto dal 1862, forse per distinguere casa nostra da Olgiate Olona e da Olgiate Molgora.
(Notizie tratte da Olgiate Comasco - Ieri Oggi Domani)
La storia di Olgiate Comasco
Le origini di questo centro abitato risalgono ad età preromana ligure-celtica.
In età romana ebbe rilevanza strategica ed economica, come dimostrano i numerosi ritrovamenti archeologici effettuati dal secolo scorso in poi: sono venute in luce tra l'altro, ceramiche aretine del I° secolo dell'officina di Marco Perennio (cui è dedicata la strada d'ingresso ad Arezzo).
Nel Medio Evo Olgiate Comasco fu un centro di arimanni longobardi, già citati in documenti del IX secolo: essi vi edificarono la chiesa romanica di San Cassiano, donata nel 1093 ai Cluniacensi, che ebbero privilegi da Papa Urbano II e vi eressero un monastero poi soppresso nel secolo XIII. Dell'antica Chiesa, nel 1895- 96, si conservano alcuni cimeli.
A conferma dell'importanza del centro arimannico, i documenti del secolo XII-XIII chiamano i borgo con il nome di "Olgeate, qui dicitur Longobardorum", per cui ancora nel secolo XVI talora è detto Olgiate Lombardone.
In età Comunale, pur essendo nel Contado di Como, dopo esserne stata contesa la giurisdizione anche da Milano, Olgiate ebbe oltre ai Consoli, un proprio Podestà citato in documenti del 1215 e vi erano ben quattro chiese: San Cassiano (o Santi Ippolito e Cassiano), San Giorgio, Santa Maria di Somaino e Sant'Ilario di Baragiola.
Secondo gli Statuti di Como del secolo XIV Olgiate era il centro di distribuzione del sale e sede della "caneva" per tutta la pieve di Uggiate, che abbracciava le colline ad ovest di Como; il compito di "canevari", ossia pubblici tesorieri, era affidato agli Umiliati, che esercitavano l'ospitalità in una casa tuttora riconoscibile in un rione del centro abitato.
A partire dall'età Viscontea e Sforzesca ad Olgiate ebbero vasti possedimenti alcune famiglie nobili comasche come i Lucini, i Volpi, i Rovelli, gli Odescalchi, che vi eressero case padronali, i Lucini posero il patronato anche sulla Chiesa di San Gerardo, eretta nel socolo XIII e rinnovata nel secolo XVI, dedicata al Santo Monzese la cui venerazione fu promossa nel 1207 dagli Oliatesi con un voto, come attestano i documenti del secolo XIII.
Nel 1652 il Comune di Olgiate riscattò la sua libertà, sottraendosi all'infeudazione cui avrebbe voluto assoggettarlo il governo spagnolo. In quel tempo era titolare beneficiato della Chiesa di Santa Maria di Somaino il Cardinal Benedetto Odescalchi, futuro Papa Innocenzo XI, ora venerato come beato.
Verso la fine del Settecento ed ai primi dell'Ottocento vi soggiornarono i Giovio, che avevano una casa di villeggiatura tuttora esistente nel Centro Storico.
Esistono lettere scritte da Olgiate dal Conte Gian Battista Giovio al Pindemonte, al Cesarotti, al Foscolo.
Per eredità divenne possessore di un antico palazzo cinquecentesco lo scienziato Alessandro Volta; in quel palazzo ora ha sede il Municipio.
Con le riforme amministrative introdotte dalla Repubblica Cisalpina fondata da Napoleone nel 1797, Olgiate Comasco (così chiamato per la prima volta) fu individuato come capoluogo del XXI° Distretto del Dipartimento dell'Olona (Legge 2 Vendemmiale dell'anno VII, 23 settembre 1798).
Durante il Risorgimento il borgo di Olgiate Comasco, situato a mezza strada tra Como e Varese e a ridosso del confine svizzero, ebbe un ruolo strategico, specialmente per le azioni garibaldine sia nel 1848 (Garibaldi, che aveva fondato il Battaglione "F.Anzani", chiese aiuti alla Deputazione Comunale Olgiatese, se ne conserva l'autografo) sia soprattutto nel 1859 quando i Cacciatori delle Alpi più volte fecero capo ad Olgiate per impostare le loro azioni militari (battaglia di San Fermo).
Anche i patrioti locali diedero il loro contributo alle Guerre di Indipendenza; tra gli altri l'ing. Angelo Testoni, volontario nel 1848, impegnato come geniere a fortificare Marghera e a difendere il ponte sulla laguna di Venezia nel 1849: egli sarebbe stato uno dei primi Sindaci di Olgiate dopo l'unità d'Italia. Altri patrioti ruotavano allora nell'ambiente olgiatese: tra gli altri il Camozzi ( con lo scultore Vincenzo Vela), proprietario di una splendida villa neoclassica (Villa Camilla).
Questa Villa costruita dai Conti Lucini Passalacqua su progetto dell'Arch. Gioacchino Crivelli circondata da uno splendido parco è ora sede della Biblioteca Comunale. Alla fine del secolo ed ai primi del novecento essa ebbe ad ospitare il Cardinal Andrea Ferrari (ora beato), che talora vi faceva capo quando era in visita pastorale nella finitima pieve di Appiano.
In quegli anni sorsero le Ville Terragni e Roncoroni (esempio, quest'ultima dell'arte "Liberty").
La Villa Scalini (eretta dal senatore Gaetano Scalini nel secondo Ottocento) originariamente tardo - neoclassica, fu poi completamente rifatta negli anni '20 in stile eclettico: proprietà comunale, è stata sede amministrativa principale ed ora, con il nome di Villa Peduzzi è sede del distretto dell'Azienda Sanitaria Locale di Como.
Lo storico CAMPANILE DEL FICO
E' durante la dominazione spagnola che fu costruito il campanile dell'attuale chiesa parrocchiale (una torre a base quadrata con sovrastante ottagono terminale). I lavori furono poi interrotti.
La causa di questo, scrive il prevosto Sterlocchi, fu che l'appaltatore, prevedendo una grossa perdita sul contratto, fuggì, lasciando incompiuta l'opera che fu in qualche modo terminata dal Comune.
Da una notizia dell'archivio parrocchiale si apprende che la costruzione fu completata nel 1636 dopo vent'anni di sosta.
Il campanile è noto da sempre come " campanile del fico" dacchè un fico selvatico (ma forse non troppo) attecchì e si sviluppò per causa di qualche seme portato dal vento o dagli uccelli fra le connessure delle pietre a livello della cella campanaria.
In proposito trascriviamo questo commento trovato su di un "Bollettino Parrocchiale" del 1932: "il fico secolare, abbarbicato fin a incerti limiti sul campanile, testimonio della ridda insultatrice che scorre sui destini del nostro paese, ha piegato i suoi rami. Forse è caduta su di lui la maledizione dell'infruttuosità: "ogni albero che non porta frutto, sia tagliato e messo a bruciare"? Non credo perché posto eccezionalmente in alto, tanto in alto, ebbe l'avito compito di rappresentare gelosamente il rifiorire gagliardo, su piccolo ceppo, delle preziose tradizioni religiose e morali.
Vecchio, sull'antica torre, non sordo allo scampanìo che diffonde le voci di preghiera sul dolore e sulla gioia, vide cadere, rosa dal tempo, come una grande madre stanca per gli anni e la fatica, la vetusta chiesa.
Una solitudine dolorosa, fischiando il vento tra le occhiaie, esso, rimasto sopra le macerie auspice di quella resurrezione che ha dato alla voce il cuore, al campanile la chiesa più bella. Tra le fibre rattrappite e rigide,sulla corteccia lebbrosa, come sopra un millenario papiro, aveva scritto tutti i nomi di quella resurrezione, li viveva succhiando tra pietra e pietra le scarse linfe della sua vita...
In quei ricordi di fioritura spenta, ricostruisco la vita del "sotto il campanile del fico"; in lui che umile, ma tanta storia ebbe dai nostri padri...
Sembrò che attorniato da tanto fervore di ricostruzione giunto fino alle sue radici, insanabile al progresso nelle fibre convulse e torte dalla vecchiaia, dignitosamente si fosse ritirato a meritato riposo lasciando il suo testamento: "affinché la torre che rimarrà col mio nome alzi lo sguardo più in alto, a dominare la cupola superba e la orgogliosa facciata..."
Tratto da "IERI, OGGI E DOMANI" di A. Vitelli e G. Annoni pubblicato a cura della Biblioteca Comunale di Olgiate Comasco.
Il Medioevo
Il complesso edilizio denominato "Medioevo" appartenne fin dall'antichità ai Conti Lucini Passalacqua (il loro stemma in cotto è ancora visibile su un pilastrino a destra del tetto del cancello d’ingresso), fu poi dei Sigg. Camozzi Momo, delle sorelle Nessi che lo vendettero al Comune di Olgiate. Nel cabreo (descrizione dei beni) redatto nel 1885 per G.B. Passalacqua, si dice che in questa cote c’erano: scuderie, rimessa per le carrozze, bigatera, stalle, cascina, torchio, tinaia e l’abitazione del fattore.
Nei primi anni del ‘900 si comincia a pensare di ristrutturare questo complesso pur lasciando la medesima destinazione agricola. Non essendoci un’autonomia architettonica si pensò di prendere a modello il ‘400 lombardo che giocava sul gusto coloristico rosso mattone (cotto delle finestre) e bianco dei muri con graffiti. Ancora si pensò di unire qualcosa di autentico all’imitazione dell’antico: così “tre colonne di vivo” di un antico edificio olgiatese vengono collocate vicino al muro di fronte all’ingresso del cortile.
Entrando nel complesso da via Lucini c’è a sinistra una torre che rinvia al castello visconteo di Pandino in provincia di Milano. Originariamente la torre era costruita con sassi a vista; si è mantenuta la base poliedrica ed è stata completamente rifatta nella parte superiore. Nel suo progetto eclettico e composito l’ideatore della ristrutturazione, non si accontenta di ispirarsi a modelli lombardi, ma spazia anche in Toscana. Infatti la base ottagonale del pozzo al centro del cortile e la scala che dal cortile porta al loggiato d’accesso all’oratorio, rinviano alla corte del Bargello di Firenze.
Varcato l’artistico cancello in ferro battuto, abbiamo a destra un piccolo portico con tre affreschi che rappresentano “il trionfo dell’amore”. I primi due affreschi, un’allegra brigata di dame e cavalieri che va a festeggiare gli sposi, sono reinterpretati dal “trionfo della morte” del cimitero di Pisa. Là, cavalli e cavalieri hanno volti terrorizzati perché troveranno tre bare aperte; qui, sono festosi perché trovano due sposi. In capo alle lesene che dividono i tre affreschi ci sono gli stemmi dei coniugi Camilla Camozzi e Federico Momo: Momo un leone rampante, Camozzi un camoscio.
Avanzando nel cortile si ha di fronte un grande portone a cassettoni con due picchiotti; a destra un cancelletto in ferro battuto dà accesso alla “scala nobile” che porta al piano primo. Giunti al loggiato, da dove si accede ai locali di rappresentanza, dato uno sguardo dal balcone al cortile, si noti il fregio del soffitto costituito da una serie di tavolette in legno che ritraggono “alla luiniana” personaggi della corte ducale di Milano. Significativa la tavoletta col ritratto contrassegnato BER LOVINO perché riproduce fedelmente l’autoritratto di Bernardino Luini presente un tempo in Casa Lambertenghi a Como. Tornati nel cortile, proseguendo a destra, si accede ad un portico a due archi attorno al quale si sviluppa l’azienda agricola. Sotto il portico si resta stupiti da numerosi cartigli con frasi latine, consuetudine del ‘400 con valore didattico per i lettori di ieri e di oggi. “Sempre el dovere” si legge sotto i due archi, frase tipica che compare in ville suburbane milanesi, come alla Bicocca. Altre frasi sottolineano la destinazione agricola degli ambienti a cui accedere dal portico. Infatti nel primo cartiglio a destra sopra la finestrella si legge: “Abbiate bilance giuste, pesi giusti, efa giusto” (l’efa serviva per misurare grano e orzo). Questa frase tratta dal cap. 19 del Levitico ci fa capire che qui c’era una piattaforma per pesare i prodotti dell’azienda.
Varcato il portone, entrati nella grande sala delle mostre, possiamo anche ammirare l’antica bilancia datata 1886. Un’altra scritta dice: “ Non è forte e valoroso l’uomo che evita il lavoro”. In fondo al portico a sinistra, dove c’erano le stalle, s’invita l’uomo ad imparare il lavoro dal bue e dal cavallo. Dalla porta sottostante questo invito si accede al centro congressi sito al piano primo. “nell’atrio c’è un grande ritratto di Federico Momo (famoso ciclista vogherese attivo dal 1894 ai primo del 1900), al quale l’auditorium è dedicato. Tornati in cortile, salendo la scala esterna a destra, copia di quella presente a Firenze nel palazzo Bargello, si accede al loggiato che porta all’oratorio. Subito restiamo colpiti dal graffito sulla parete di sinistra: è un panorama della Certosa di Pavia vista dal chiostro grande. Il progettista aveva ben presente questo monumento tanto che le quattro foglie al piede di ogni colonna del loggiato e alcuni capitelli riproducono fedelmente quelli della Certosa. Se poi dal loggiato guardiamo il cortile, a destra, i graffiti che ornano la fascia di muro a confine con il parco di Villa Camilla, di cui il Medioevo fu sempre dipendenza ed alla quale si accede per una galleria con ingresso dal cancello posto a sinistra dopo gli affreschi, vediamo tre raggiere con la scritta GRA-CAR (gratiarum cartusia) appellativo della Certosa di Pavia.
Lungo il percorso che ci porta alla cappellina, sul parapetto del loggiato si vedono riprodotte più volte le lettere CMF che dovrebbero saper interpretare, perché sono le iniziali dei committenti di questo complesso: Camilla e Federico Momo. Nella lunetta sopra il portone d’ingresso dell’oratorio abbiamo un volto di Cristo coronato di spine che richiama un’opera del Luini. Nel ‘400 c’era una devozione per la “santa corona” tanto che a Milano c’è ancora un’istituzione benefica che porta questo nome.
Entrati nell’oratorio si nota un’artistica cancellata che riproduce fedelmente, in dimensioni ridotte, quella di una cappella della chiesa di San Petronio a Bologna: cambiano gli stemmi posti ai lati dell’albero della vita: qui, quello di sinistra è di mons. Valfrè De Bonzo vescovo di Como dal 1896 al 1906. La cappellina, benedetta nel 1924, presenta una serie di affreschi di Luigi Morgari: San Cristoforo, un pellicano, San Giorgio patrono dei cavalieri, l’incoronazione di Maria. Per questo soggetto, il Morgari attivo a Milano, nel Duomo di Vercelli e nella parrocchia di Olgiate, prende a modello l’affresco presente nel catino absidale di San Sempliciano a Milano, opera del Borgognone. La mensa dell’altare poggia su un’antica cassapanca: la scena del palliotto rappresenta la consegna delle chiavi fatta da Gesù a San Pietro e ricorda l’opera del Perugino presente nella Cappella Sistina.
Dalle date che si leggono all’interno del complesso si ipotizza che i lavori si siano svolti in due momenti. La prima parte: cortile, edificio, interni e loggiato furono terminati nel 1911. Infatti in uno dei locali di rappresentanza vediamo scritto su un camino questa data, confermata dal cartiglio a destra dove si legge “Albert Dresler mediolanensis pictor 1911”.
La seconda parte: affreschi all’ingresso del cortile e oratorio1923-1924. I graffiti sono opera dei fratelli Giuseppe e Francesco Bricola; i ferri battuti sono stati forgiati nell’officina di Giuseppe ed Edoardo Introzzi che si trovava vicino all’attuale piazza Umberto. I primi interventi di restauro, dopo l’acquisizione del complesso da parte del Comune, sono stati finanziati dal Ministero dei beni culturali sotto la direzione dell’architetto Alberto Artioli della Sovrintendenza per i beni culturali ed artistici di Milano; tutti i lotti successivi, nell’ultimo decennio, dalla Amministrazione comunale di Olgiate.
Attualmente il complesso ha una funzione polivalente e può ospitare iniziative pubbliche e private, disponendo di sale e spazi di diverse dimensioni per mostre, convegni, spettacoli e manifestazioni varie.